Le letture di Correlazioni

Tiffany McDaniel ripete, con Il caos da cui veniamo (ed. italiana Blu Atlantide, 2021 trad. Lucia Olivieri) un altro piccolo capolavoro dopo il grande successo di L’estate che sciolse ogni cosa. Ancora un romanzo di formazione poetico e sconcertante, questa volta di sentore autobiografico: la storia di una famiglia – i Lazarus – che un uomo di origini nativo americane (lo è in parte anche McDaniel) ha formato con la bellissima moglie, una donna profondamente segnata da un’infanzia tormentata. La trama si svolge dentro la società americana degli anni ’50 e incrocia il razzismo evidente e quello latente, i pregiudizi e le contraddizioni dell’America profonda, ma soprattutto le difficoltà della condizione femminile in una provincia che dietro l’apparenza di lindore nasconde segreti inconfessabili:
«Una ragazza diventa donna davanti al coltello. Deve imparare a conoscerne la lama. La ferita. A sanguinare. A portare la cicatrice senza smettere, in qualche modo, di essere bella e con le ginocchia abbastanza forti da poter strofinare il pavimento della cucina ogni sabato…»
L’io narrante è Bitty, la piccola che il padre chiama Indianina. Una bambina che molto presto apprende quanto ha subito nell’infanzia sua madre, un inferno che riversa sui figli. A questa devastante realtà fa da contraltare la spiritualità del padre, che nonostante le prevaricazioni di cui è vittima il suo popolo ne conserva l’identità e la esprime nelle magiche storie che racconta ai figli. Dentro la famiglia i drammi si ripetono e ne sono vittima principalmente questi ultimi, esistenze in bilico tra l’inferno e la salvezza dentro le quali la ferocia e l’innocenza convivono. E vi convivono sentimenti che la brutalità del mondo non riesce a soffocare. La piccola Bitty racconta tutto quello che i suoi occhi limpidi osservano dentro e fuori la famiglia: un narrato che contiene in sé la consapevolezza che dal caos si può risorgere, si può emergere dall’oscurità di qualsiasi cosa essa sia fatta.
La scrittura di Tiffany McDaniel è sempre magistrale, tra le più belle del nuovo secolo. Concreta e poetica al tempo stesso, in un linguaggio senza compromessi che lega il lettore alla narrazione con un fortissimo vincolo emotivo. Nessun cedimento consolatorio, lirica e paratassi si intrecciano nel racconto di storie crude e maledette. Barlumi di speranza si rincorrono nel testo, splendidamente espressi dalla figura del padre che, nonostante se stesso e nonostante il caos riesce a portare Bitty sul terreno della rinascita.
(g.s.)