Il Novecento di cui non si può fare a meno.

di Giuseppe Scaglione

È incontestabile che il Novecento abbia rappresentato il più importante spartiacque nella storia delle arti, anche dell’arte di scrivere. In questo senso non è mai terminato, perché ancora oggi i profili fondanti delle avanguardie artistiche e letterarie dei primi decenni e l’immenso spazio umano, etico e civile che ha aperto la seconda metà del secolo restano la netta linea di demarcazione tra la didascalia, o intrattenimento, e l’essenza vera dell’arte e della letteratura. La rappresentazione della vita interiore e dell’io collettivo, senza genuflessioni alcune al Potere. Questo è il lemma di un lungo percorso di esplorazione dei significati letterari del Novecento intrapreso dal critico letterario, saggista e poeta Nicola Vacca, percorso che il volume Mi manca il Novecento (Galaad Edizioni, 2024) arricchisce di nuovi contenuti. Quale sia per la letteratura italiana – in particolare per la narrativa – il maggiore tra questi significati ce lo spiega lo stesso autore, richiamando le parole di un altro grande critico: Giorgio Ficara, critico letterario e studioso serio del nostro Novecento, scrive che oggi il romanzo è in crisi non perché Adorno ne minacci il futuro con le sue Note, ma perché i romanzieri si sentono in maniera presuntuosa troppo poco in crisi, e hanno voltato le spalle al secolo scorso. Scrivono i loro romanzi come se il Novecento fosse una vecchia canzone di cui liberarsi. Ficara sostiene, e io sono d’accordo con lui, che il nuovo sia dietro di noi, grande e tristemente abbandonato, non visto, non considerato; e il vecchio, così semplice, così spontaneo, così modesto, così ovvio, sia davanti a noi, “intuibile” come una pagina di rotocalco.

Ma il portato critico del libro va molto oltre, non si ferma all’analisi per sottrazione, o per differenza tra la produzione autoreferenziale degli attuali anodini intrattenitori – oggi posti al vertice dell’ambiente letterario dal business editoriale e dalle consorterie che controllano anche certi premi – e i veri e propri capolavori scritti dagli intellettuali del secolo scorso. Vacca del Novecento letterario ne riscrive la critica e la storia: già prima di Mi manca il Novecento – con i saggi Sguardi dal Novecento (2014), Vite colme di versi (2016) e Muse nascoste (2021) – ne ha proposto una lettura quanto mai approfondita e quanto mai lontana dall’approccio antologico di una certa “cultura” dominante, o per meglio dire dominata da fattori estranei alla cultura stessa. Il che è il primo grande merito del lavoro del Vacca critico letterario, (e a ben guardare anche del Vacca poeta): grazie ai suoi scritti si comprende in modo inequivocabile quale sia davvero il fulcro del Novecento e da quali libri e da quali autori ne sia splendidamente composto e articolato.

Ne sortisce una visione organica della letteratura che va da Moravia a Bufalino, da Sciascia a Pasolini, da Simenon a Bianciardi e a tantissimi altri, soprattutto ai dimenticati. Ed è proprio nell’insistere sul valore dei dimenticati che si sostanzia un altro grande merito dell’autore, dispiegato in tutti i saggi precedenti, che – a parere di chi scrive – è una componente centrale del suo approccio critico dalla quale non si spoglierà mai. Nel magnifico capitolo La maledizione del Novecento che conclude il libro Vacca infatti scrive: Sul nostro Novecento pare ci sia una sorta di maledizione. Troppe le omissioni e le rimozioni forzate. Alla colpevole indifferenza di studiosi e critici e alla presunzione di romanzieri che scrivono con le peggiori intenzioni si aggiunge la dolosa ignoranza della maggioranza dei lettori, che non riesce ad andare oltre la scelta dei libri consigliati da Fabio Fazio. La ricchezza letteraria del nostro Novecento rischia di essere completamente dimenticata. Il futuro, le sorti e il destino della nostra letteratura passano inevitabilmente per la tradizione novecentesca e per il necessario recupero di alcuni grandi scrittori ritenuti irregolari e dimenticati.

Il libro sovverte le dimenticanze e traccia una mappa di autori non funzionali al sistema, alti nella loro capacità espressiva e filologica come anche nello sdegnoso rifiuto dell’appartenenza comoda. Ribalta senza menzionarle le asfittiche scritture “alla moda” (ovvero quelle che sì andrebbero dimenticate) prive di orizzonti sia introspettivi che civili, opponendovi la forza disarmante di penne pur profondamente avvinte a un ideale (si pensi per esempio a Pasolini, ma non solo) comunque non asservite ad alcun potere. In altre parole, la definizione stessa di poeta o di scrittore.

Dunque Mi manca il Novecento è un ulteriore libro-guida che si aggiunge ai precedenti e a quelli di pochi altri critici contemporanei non legati ad alcuna consorteria. Una guida per chi legge e una guida per chi scrive, a condizione che abbia capito (il che sebbene lapalissiano non è affatto scontato) che per scrivere bisogna prima leggere. Un libro-guida che esprime in sé la quintessenza della filosofia di Nicola Vacca, il quale, spiegando il grande Flaiano ai suoi lettori, inconsapevolmente o meno descrive anche se stesso. Quando traccia le linee di un autore che trova dal disincanto e dall’amarezza di un uomo e di un intellettuale sempre in disarmonia con la sua epoca, in grado di profetizzarne la crisi morale, individuando nel cambiamento dei costumi, e non solo, le tracce della decadenza che stiamo vivendo in questi anni. Flaiano inforca gli occhiali irriverenti dell’anticonformismo e, mentre intinge la penna nel veleno delle sue considerazioni, è consapevole che la scrittura sarà una compagna scomoda, portatrice di solitudine. La sua frequentazione non sarà mai volta alla ricerca di una qualche forma di compromesso con la società in cui vive. Ecco, Nicola Vacca è esattamente così e non ci stancheremo mai di leggerlo.


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