Una giornata nell’Inghilterra vittoriana.

di Giuseppe Scaglione

Era la sua una vocazione, dicevamo alla tranquillità, sempre da rincorrere fermamente, perché purtroppo scivolava dal suo essere (…) Ebbene se si dovesse appaiare Mrs Moore ad un elemento, lo stagno con le sue torpide acque le si addirebbe, dove le pietruzze lanciatevi dentro dal caso ovvio sarebbero l’elemento che le dà vita o meglio la vita stessa, per intenderci. Tanto le costavano le ore da ripiegare dentro il suo senno durante il giorno.

Questi brevi passaggi del romanzo di Vanna Loiudice Una giornata da portare a termine (Italic, 2020) sono forse da soli quelli che meglio spiegano la protagonista e il libro stesso, un’opera per molti versi sorprendente. La trama si svolge dentro l’arco di una singola giornata e racconta di una famiglia della borghesia inglese in epoca tardovittoriana, in quella fine dell’Ottocento segnata dalle contraddizioni sociali della seconda rivoluzione industriale e da molteplici, spesso contrastanti, spinte culturali. Sullo sfondo della narrazione, infatti, compare nitida l’Inghilterra coloniale di fine secolo. A Helen, adolescente secondogenita, viene vietato dalla madre Agnès – appunto Mrs Moore, la protagonista – di partecipare a una cena organizzata dal fratello Robert nella dependance della lussuosa residenza di famiglia. In realtà il motivo del diniego, che oggi risulterebbe inconsistente, è piuttosto fondato, per la rigida educazione di quei tempi: è disdicevole a causa della giovanissima età di Helen. Ma ciononostante Lizzy – zia anticonformista e ribelle, antesignana dell’emancipazione femminile – che ha un forte ascendente sulla nipote, ne prende le difese e insiste, invano, con sua sorella affinché si convinca a dare il sospirato permesso. Incurante del diniego la ragazzina, che non intende rinunciare alla festa perché attratta da uno degli amici del fratello, sottrae di nascosto una spilla dal cofanetto dei gioielli che appartengono alla madre, per farsi confezionare un abito adatto all’occasione.

Il romanzo, pur ruotando intorno a questa trama semplicissima, sviluppa la puntuale narrazione di un periodo storico contradditorio, sul quale le riflessioni sono ancora oggi controverse e forse ne restano irrisolte le molteplici chiavi di lettura. La Loiudice, con il suo romanzo, si inserisce a pieno titolo in una sorta di analisi critica concettuale e storica. Lo fa rimanendo, come voce narrante, ai margini della vicenda: non lascia trasparire nel tono narrativo alcuna adesione emotiva ai singoli personaggi o alle situazioni, che presenta in modo emblematico come se fossero allegorie. Con sapienti sfumature ricostruisce i tratti salienti, mutuati dalla Storia, dei sentiment dell’epoca. Dalla trama emergono tutti, rielaborati, rimescolati e incarnati nelle figure che ruotano intorno alla protagonista, disegnate in modo impeccabile tanto da essere credibili e paradigmatiche. Una vera e propria galleria di ritratti psicologici e sociali. L’evanescente Mister Moore, marito ancora tenero e focoso ma distratto, avulso dalle novità dei tempi che invece attingono il figlio Robert, incarnazione della classe imprenditoriale emergente. Le amiche della famiglia, modelli di ipocrisia, la domestica civetta, la cuoca complessata. Una spanna sopra tutti, protagonista compresa, l’ineffabile governante, il vero fulcro della famiglia. Attorno a questi personaggi l’autrice sviluppa un arco di temi molto ampio: dal provocatorio anticonformismo alla Oscar Wilde fino alla pruderie vittoriana, dall’incapacità di certa borghesia ad adattarsi ai tempi fino all’intraprendenza dei nuovi capitani d’industria, dal rigido conservatorismo di assetti economici e sociali cristallizzati – il latifondo per esempio – fino alla spregiudicata corsa al profitto soverchiando manodopera e valori umani, dalla fragilità della condizione esistenziale della donna fino ai primi segnali dell’emancipazione. La Loiudice affronta la narrazione in modo plurale ma a toni leggeri, come un acquerello, intrecciando a tutto questo le dinamiche emotive soggettive, trattandole con la lente dell’introspezione: le preoccupazioni di una madre apprensiva, una ragazza adolescente divisa tra il rispettare le regole e il metterle in discussione, le idee di una zia che ha saputo ribellarsi a certe convenzioni sociali.

A lettura ultimata emerge una forte suggestione, l’ipotesi interpretativa che la Loiudice sembra imprimere al libro, cioè una serie di interrogativi che pone al lettore. Quanta affinità esprimono oggi, mutatis mutandis, con le fragilità emotive e psicologiche della gemebonda Agnès intere categorie di donne, “borghesi” e no, sopravvissute nella società postmoderna, avvinte dall’effimero, quasi perse nei selfies o negli annoiati chiacchiericci da bar? Quante invece, oltre l’apparenza, hanno varcato concretamente la soglia dell’emancipazione tanto da considerarsi emancipate a pieno titolo? Quante ancora incarnano oggi la personalità forte e consapevole della governante, forse il più bel personaggio del libro? Si avverte nella lettura l’influsso del grande amore letterario della Loiudice per Wirginia Woolf, autrice che sul piano esistenziale si spese strenuamente per la parità di genere. E poi, oltre all’universo femminile, questo libro ci spinge a domandarci quanto davvero sia cambiata la società e soprattutto la classe dirigente, dopo ben più di un secolo. Domande in punta di penna, che l’autrice lascia cadere tra le righe del racconto, con indubbia abilità psicologica e letteraria.

Infine, la scrittura. Molto diversa dallo stile della precedente produzione e in particolare dal romanzo Le amiche, dove la parola assume un aspetto cristallino ed è molto scorrevole. Qui invece sgorga un periodare che rende perfettamente, fin dentro le sfumature, l’atmosfera dell’epoca. Si adatta alla vicenda narrata, si uniforma al tratto psicologico dei personaggi, all’ambiente. Una scrittura musicale, sinfonica, quasi barocca, che rende l’idea del piacere di scrivere, di lasciarsi andare alla parola scritta senza dominarla o sorvegliarla, perché possa fondersi intimamente con il tono narrativo e la trama. Insomma, una scrittura interessante, colta, conforme allo spirito della narrazione. Una vena espressiva tutta da scoprire, come d’altronde la stessa autrice l’ha scoperta spontaneamente dentro di sé.


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