Antonio Laurino – Binocoli a gettoni.

di Giuseppe Scaglione

In Italia molta parte dell’ambiente editoriale – case editrici, agenzie letterarie e scopritori di “talenti” – non ha in grande simpatia le raccolte di racconti, ovviamente per ragioni di marketing, trascurando buone opportunità per fare letteratura. C’è addirittura chi le considera narrativa di serie B, mentre invece non lo sono affatto, come nel 2013 ha sancito il Nobel assegnato a Munro. Ma qual è il fascino del racconto? Non è poi così difficile comprenderlo: Georges Simenon, Raymond Carver, Julio Cortázar e la stessa Alice Munro – giusto per citare vari angoli di mondo e vari stili di scrittura – tramite le loro opere hanno insegnato che il vero potere seduttivo del racconto risiede fuori dalla pagina (se l’autore possiede davvero le qualità del narratore) e sta nel non detto, nelle vicende e nelle situazioni esistenziali che si intuiscono fuori dal racconto stesso. Dunque una modalità letteraria che riveste un appeal indiscutibile per l’autore e soprattutto per il lettore esigente e visionario, insomma autori e lettori capaci di proiettarsi nell’universo delle esperienze possibili e, perché no?, impossibili. Questa lezione dei grandi sembra sia stata ben compresa da Antonio Laurino, giovane scrittore campano trapiantato in Emilia, autore della raccolta di racconti Binocoli a gettoni (Scatole parlanti, 2022). Ci presenta un libro ben scritto, che svaria dal surrealismo quasi onirico a elementi espressionisti o simbolisti, fatto di squarci di vite minime che spesso diventano ferite. Nei diciotto racconti di cui si compone la raccolta stabilisce un punto di osservazione originale sul rapporto che intercorre tra le persone e le piccole o grandi cose quotidiane: il calcio, la musica, la gioventù, la discoteca, gli amori irrisolti, le delusioni, le amicizie, la scuola (un ambito ricorrente), l’assenza, la fatalità, l’ossessione, il delirio, la morte. Non si ravvisa l’intento di ricavarne una morale, piuttosto un senso, o un nonsenso, scavando dentro archetipi esistenziali non tanto dissimili da quelli tratteggiati da Jung. Ne consegue che in qualche modo i protagonisti siamo un po’ tutti noi, per quello che siamo o siamo stati o forse saremo: lo studente, l’insegnante, il pensionato, il precario, la madre, il padre, il figlio e così via.

Laurino in fondo fa quello che hanno dichiarato di fare alcuni grandi scrittori di narrativa: guardare il mondo attraverso il buco della serratura, cogliere quel frammento che da solo spiega una situazione o un’esistenza. Sta all’ineffabile potere dell’immaginazione – elemento primario di qualsivoglia discorso sulla narrativa – la capacità di proiettare l’istante presente, come portatore di senso e significato, sullo sfondo di uno scenario più ampio. Il richiamo al binocolo a gettoni contenuto nel titolo va poi oltre l’idea di “buco della serratura”, è la restituzione del proprio value al significato della variabile “tempo”: si ha solo “quel” lasso di tempo e niente di più per osservare, e per capire. Non si deve ignorare che il tempo rappresenta l’unica risorsa al mondo non rinnovabile, sembra voglia dire quel titolo.

La scrittura di ciascun racconto è accurata, con una morfologia coerente agli elementi significanti, al contenuto. La struttura del linguaggio assume a base un andamento paratattico, ma sa distendersi in forme che sfiorano il prosimetro oppure, specie nei racconti brevissimi, il c.d. flusso di coscienza. Il tono narrativo è in linea di massima colloquiale, sostenuto da ampie concessioni alla koinè che però non oltrepassano il confine tra la letteratura e il parlato. Insomma, Binocoli a gettoni sviluppa un quantum di correlazioni semiotiche molto efficaci. D’altronde l’autore, docente universitario a contratto, è appunto un semiologo e in questo libro usa bene il proprio sapere.


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