Riflessioni di storia della musica a margine di un brillante concerto.

di Paola Sorrentino

Ero a Palazzo De Mari in Acquaviva delle Fonti lo scorso primo giugno, per ascoltare Greta Lobefaro nel concerto di punta, e inaugurale, della XVI Stagione concertistica organizzata dall’Associazione “Giovanni Colafemmina”, dove la pianista è stata invitata come migliore classificata italiana all’International Piano Competition “Città di Acquaviva delle Fonti”. Al di là del significativo curriculum della pianista gioiese ventunenne (cfr. note biografiche in calce), nel programma mi balza subito agli occhi l’op. 6 di Schumann. Scelta insolita e coraggiosa, quaranta minuti di musica in cui il vagare e switchare repentinamente tra caratteri assolutamente opposti risulta l’insidia primaria. Do un’occhiata al resto del programma e mi sforzo di comprendere, perché c’è qualcosa che mi sfugge.

Qual è l’idea programmatica? Cos’hanno in comune Bach, Mendelssohn e Schumann? Mendelssohn e Schumann sono compositori romantici contemporanei e coetanei, entrambi nati nel fortunato 1809, “tedeschi di Germania”, ma un Bach Johann Sebastian, classe 1685, non sarà un po’ troppo fuori contesto, mi domando? Premitura delle meningi in quel breve lasso di tempo che mi separa dall’inizio del concerto in quell’affascinante sito, freddo e umido come l’antichità di un De Chirico, ed ecco risolto il rebus. Geniale la ragazza, penso. Già il programma vale il concerto. Subito dopo ho conferma del mio intuito dalle sue poche righe d’introduzione, convinte e precise. È ora di chiarire la correlazione a voi lettori: Felix Mendelssohn Bartholdy fu il fautore della “Bach renaissance” in un’epoca, quella romantica, in cui la figura del compositore e del musicista è completamente stravolta nella sua essenza. Il compositore è uomo “colto” e si abbevera di una cultura a tutto tondo, specie di matrice umanistica, filosofica e letteraria, e finalmente comprende e fa comprendere il valore del passato, il recupero della memoria. Compaiono le prime biografie (quella di Bach fu compilata da Forkel nel 1802) e s’inseriscono nei programmi da concerto musiche del passato, accanto alle proprie composizioni e a brani di compositori contemporanei da diffondere e promuovere.

Il Romanticismo per la musica è anche questo, un’epoca diversa. Era il 1829 quando Mendelssohn riesumò la Passione secondo Matteo del grande Tedesco, nel centenario della sua prima assoluta, e da allora Bach divenne l’Assoluto per la Musica, da quel momento in poi, un esempio unico ed imprescindibile. Il primo dai 6 Preludi e fughe dell’op. 35, segna questo legame indissolubile tra Mendelssohn e il contrappunto e lo stile osservato più progressista del passato, quello di Johan Sebastian! Il sottile fil rouge funge da ponte, da transizione e, al tempo stesso, da correlazione tra quello che fu e quello che rivive nell’Ottocento, attraverso la mente e la mano sapiente della Neue Musik.

Rimbalzando sulla prima parte della proposta d’ascolto della Lobefaro, la prima partita BWV 825 di Bach in si b maggiore, composta dopo il suo trasferimento a Lipsia datato 1781, insieme alle altre sei, brilla per la sapiente fusione tra stile barocco italiano e francese, convertito in un elegante, sia pur concettuale, stile autoctono, intriso di un contrappunto avanzato, con elementi che lasciano presagire all’intimismo espressivo dell’Empfindsamer Stil che, affermatosi nel nord della Germania un ventennio dopo la sua morte, conterrà i germi premonitori del preromanticismo musicale. Dunque Bach un progressista della sua epoca, come lo sarà Schumann e il suo phantasieren per la sua, con un Mendelssohn anello di congiunzione. Geniale! Insisto.

E veniamo a Schumann e ai Davidsbündlertänze op.6.; Schumann è il genio del Characterstück, con la sua abilità di affiancare pezzi di carattere, brevi quadri caratteristici di un’idea che in questo caso è alla base della sua estetica musicale: le danze della lega di Davide indicano l’opposizione che Schumann, fra l’altro critico musicale, caporedattore del Neue Zeitschrift für Musik, muove instancabilmente ai Filistei, sostenitori tout court della tradizione, stantii conservatori. La seconda versione del 1850, proposta dalla Lobefaro, che fra l’altro l’ha incisa lo scorso novembre ed è disponibile su Spotify, segna in maniera incisiva il dualismo insito nell’idea di musica romantica di Schumann, fluttuante tra espressività e Rasch, immediatezza brillante e Innig. I due personaggi immaginari di Eusebio e Florestano, introverso e intimistico l’uno, immediato e irruento l’altro, elementi controversi e inconciliabili della personalità “schizofrenica” di Schumann, sono intercettati e delineati con grande intelligenza da Greta Lobefaro, pianista di spessore, raffinata, profonda, emozionante con un tecnicismo e virtuosismo, mai sopra le righe ma sempre commisurato a un’idea esecutiva e di corretta comunicazione con l’uditorio. D’altronde, volendo porre in essere altre legature e relazioni, anche le danze defunzionalizzate della partita di Bach sono pezzi caratteristici, che rispondono alle leggi formali della bipartizione ritornellata di quelle brevi forme e all’unità tonale, ma rappresentano, pur sempre, pezzi contrastanti per idea e carattere.

Quanto al ruolo dell’interprete come imprescindibile ponte tra il polo della produzione, la musica vera e propria e il polo della ricezione, vale a dire il pubblico, è indubbio che la Lobefaro, pur giovanissima, sia il prezioso elemento di trasmissione e correlazione tra la grande Musica e il pubblico. “Quando lei ritiene che il pianista che ascolta è un grande interprete? “, fu una volta chiesto a Franco Ferrara. La risposta fu: “Quando mi fa dimenticare che il pianoforte è uno strumento a percussione”. Bene, ritengo che i fortunati presenti con Greta Lobefaro l’abbiano dimenticato.

Note biografiche: Greta Lobefaro, classe 2001, si è laureata a quindici anni presso il Conservatorio “N. Piccinni” di Bari con il massimo dei voti, lode e menzione, frequenta il terzo anno presso l’”Accademia Nazionale di Santa Cecilia” di Roma nella classe di Benedetto Lupo, è prossima al diploma master, è allieva dell’”Accademia Internazionale” di Imola nelle classi di Enrico Pace ed Ingrid Fliter, ha un palmarès di oltre trentacinque concorsi vinti, nonché ha eseguito numerosi concerti in Italia e all’estero.


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